In memoriam de Luciana Loriente


No me entra
que te hayas ido.
No me entra.


Un dolor al cuello
no es todavía la muerte,
tampoco el hospital
repleto de gente,
ni el frío correo que anuncia


que estás mal
y que como otras cosas pronto
he de borrar.


Fallecer es morir quizá
más lentamente.


Estoy tratando de corporizar
un sinfín de ausencias,
ensayo otros adioses,
ése no estar más
ni acá ni en parte alguna, sino 


bajo tierra.


Un ciclo de vermes
pulula en el abono que estoy cultivando
y me estremece
tant’hambre de vida.


Por momentos
te siento aquí abajo.
Oigo tu voz queda;
tus ojos desbordan olas azules
por donde pasaría una nave de locos
que juegan al azar y le hacen pito catalàn
a cada desplante que la vida les da.


Recuerdo tu paso abierto,
el apremio del dolor pintarrajeado
como en la sonrisa de un payaso,
tu amanecer todo el día
con el pelo alborotado
y las escotadas prendas negras
una befa al luto,
mujer de un Líbano en guerra
que te dolía por los huesos magros
de algunos antepasados.


Es posible que del otro lado,
en las antípodas del norte
ya no estés, aunque yo siga viendo
muñecas de papel mashé
con la mueca desolada,
el ropero y la pieza donde alguien
se atreverá a entrar y revisar.


Quisiera poder tocar
lo que tanto duele,
este cielo de un azul indiferente
o la garúa en el día
que me bañé con tu muerte.


Duele que todo parezca
ser una anécdota,
los campanazos de las iglesias
y el silencio que los devora y aleja.


Yo sólo sé que acabaste por siempre.
Quién sabe si ése no es
el último de los placeres.


Ojalá así sea.

Un giro d'ombra


Un giro d'ombra
da Eleonora Bevilacqua

Mauro si alzò dal letto, spostò le tende e guardò giù in piazza per vedere se Enzo fosse già lì. Ancora non c'era nessuno, nemmeno un'ombra. L'afa copriva il cielo con un velo di gesso. Copriva il cielo o i suoi occhi, non avrebbe saputo dirlo. Era un anno che doveva consultare l'oculista. Forse aveva le cataratte.
Aspettò che si facessero le cinque, quando il sole cominciava a indebolirsi. Scese con fatica le quattro rampe di scale, i trenta scalini, i due pianerottoli. La piazza, un quadrato col pavimento irregolare in pietra e il campanile alto in uno dei suoi angoli, era quasi vuota, se non fosse stato Enzo lì, a metà dell'ombra del campanile, col bicchiere di vino mezzo vuoto. Sembrava il negativo di una pellicola sul quale la luce che scorre per un attimo si ferma e poi rinizia. 
“Già che ci sei, andresti da Giovanni a prendere tre ombre?”, chiese Enzo, e Mauro pensò alla terza, “il solito sporcaccione”. Fece per allontanarsi ma tutto ad un tratto tornò sui propri passi e disse ad Enzo di star attento, “sei sotto il sole: così rischi l'insolazione”.
Enzo guardò le spalle tristi di Mauro, il corpo grasso, la camicia a righe sudata e appiccicaticcia. “Porco can, Mauro, lavati un po`”, gli avrebbe detto più tardi, ma a Mauro le gambe facevano male, tutte e due, e soprattutto, la sinistra. Poteva farsi la doccia una volta alla settimana. Pazienza.
Mauro camminò a stento verso il bar. Proprio adesso che lui aveva ancora l'abbiocco e c'era quella dannata calura, toccava a lui andare a prendere tre ombre al posto di due. Non era in vena di giochetti, ma sotto sotto, l'idea di Enzo non gli dispiaceva affatto. La conosceva bene.
Andò fino al bar trascinando le gambe gonfie di bende. Il medico gliele arrotolava dal piede fino al ginocchio ma i piedi puzzavano comunque. Lui avrebbe avuto bisogno di una donna come Milena, la badante di Enzo, che di un giorno al altro era andata via. Peccato che non avrebbe saputo come pagarla. Per guarire doveva smettere di bere, ma come? Come fare a meno di un'ombra? A casa non poteva rimanerci. Sua moglie era abituata a che lui fosse fuori fino a tarda sera. La voleva bene, per carità, ma a casa non poteva rimanerci con quel piede che gli puzzava come un cane sudicio. La moglie avrebbe voluto affannarsi con le cure, ma lui non si lasciava fare. Le diceva, lascia stare, non fa per te. La moglie sarebbe svenuta col solo guardare i vermi. Non era un lavoro per lei né per nessuno, neanche per la Milena d'Enzo, pur essendo infermiera e con la pelle dura che si era fatta.
Erano passati cinque anni da quando Mauro era andato in pensione e d'allora non faceva altro che mangiare, dormire, e poi, scendeva in piazza e si trovava con Enzo, che subito lo faceva lavorare e gli chiedeva: “vai a prendere tre bicchieri, ho una sete bestiale”. La gamba gli faceva male, ma andemo avanti, si disse, ed entrò nel bar.
Il proprietario, Giovanni, era sempre lì, dietro il bancone della ricevitoria, ad aspettare chi sa che premio, che affare, visto che lui al lotto non ci giocava. E poi un pensiero lo turbò. Pensò ad Enzo, lì fuori, tutto belo tranquillo all'ombra del campanile, che a lui non ci pensava mai. Gli aveva chiesto di andare a prendere le tre ombre con quel caldo e le sue gambe. Lo voleva far patire. E poi, sempre lo stesso giochetto dell'ombra in più. Enzo credeva di essere divertente, ma lo scherzo era sempre lo stesso; invece Valentina, la cameriera, lei no, lei era sempre più bella, cioè, sempre più viva. 
Mauro le chiese tre ombre di bianco, e tanto per dire qualcosa, disse: “Ha visto, signorina?, l'asfalto fuma. Noi siamo sempre lì, all'ombra del campanile. Ci potrebbe portare tre bicchieri?” Valentina rispose di non preoccuparsi, arrivo.
Mauro approfittò per chieder a Giovanni due biglietti del lotto. Quella notte aveva sognato i numeri vincitori. La gallina, il letto e la piazza. Gli altri erano sempre le date del suo natalizio. Non aveva mai vinto, ma chi non gioca non vince, pensò, e giocò due euro. Con due euro si poteva diventar ricco. Poteva riprendersi il patrimonio, che secondo la moglie aveva perso in piazza tra il bar, le sigarette e il lotto. Mica è vero che non ho vinto niente, diceva invece Mauro. Qualche volta aveva azzeccato quattro numeri. Con quei soldi avrebbe fatto questo e quest'altro, diceva, e li impegnava subito, appena li riscuoteva, e nella sua immaginazione li impegnava più di una volta, anche per offrire due giri d'ombra agli amici.
Uscì in piazza coi biglietti del lotto in mano. La cameriera portava i bicchieri sul vassoio, ed Enzo, vecchio pigrone, rimaneva attaccato all'ombra del campanile: guardava la cameriera avvicinarsi e pensava a Milena, che se ne era andata via un anno fa. Aveva rinunciato al lavoro ed era partita senza dire dove, stufa di dover badare a un rimbambito ubriacone che non fa altro che andare a sedersi sotto il campanile, a parlare cogli amici del sindaco e dell'assessore e della truffa di questo qua e di quello là. Lei non era sua moglie, disse Milena prima di partire, e lui avrebbe voluto dire, mica è un problema, e lì le avrebbe chiesto di sposarla, se non fosse stato per la vergogna, certo che glielo avrebbe chiesto: Milena era venti anni più giovane ed era ancora bella. Meglio così, disse quella volta, e la lasciò andare. Mona.
La cameriera allungò i bicchieri a tutti e due, e come era solito, chiese con un sorriso per chi fosse l'altro. Lo lasci qua, disse Enzo, e lei si inginocchiò per metterlo sulle pietre bianche del pavimento. Strizzò gli occhi, abbagliata. Enzo approfittò per guardarle le cosce abbronzate. Bella, disse, e Valentina fece un sorriso. Se fosse in loro, io cercherei il sole, pensò.
Mauro prese la sua sedia e ricercò l'ombra del campanile. Da un angolo, tagliando la piazza in perpendicolare, arrivavano Giacomo e Fulvio, cogli occhiali neri, assonnati. Enzo si mise la mano davanti gli occhi per coprirsi dal sole, guardò l'ombra per terra, guardò loro e spostò la sua sedia qualche centimetro ad ovest, sotto l'ombra che si spostava sempre più veloce. Giacomo disse, “vado a prendere da bere”, entrò nel bar, salutò Giovanni e chiese altre tre ombre di bianco. Uscì senza aspettare Valentina, che dopo qualche minuto arrivò col vassoio e i bicchieri freddi, mentre Fulvio diceva che l'assessore era stato indagato per corruzione, che senza le intercettazioni, fra poco quei reati sarebbero venuti in conoscenza di nessuno.
L'ombra del campanile continuava a spostarsi sulla piazza e nessuno batteva ciglio, finché Mauro si sentì senza rifugio e capì che non era più all'ombra. Fece un passo a destra con la sedia ed il bicchiere mezzo vuoto. Con lui si spostarono gli altri tre, senza che Fulvio smettesse di parlare dell'assessore. Aveva ricevuto tangenti dalle imprese di edilizia, roba da matti, da metterlo in galera. Gli altri tre assentirono nascosti dietro agli occhiali neri.
Dopo mezza ora Mauro pensò a Valentina. Il prossimo giro d'ombra tocca a te, disse a Enzo, che si alzò, spostò la sedia sempre più all'ombra e andò fino al bar. Quando tornò con Valentina davanti, sentì il profumo a tiglio dei suoi capelli e ricordò Milena. La conversazione era cambiata. Ora parlavano del papa e della chiesa. A lui piaceva l'altro papa, disse Giacomo, questo qua è un fanatico tedesco. Mauro si arrabbiò, cercò di difenderlo, ma l'opinione degli altri era unanime: la chiesa perdeva colpi. Oramai, chi ci andava in chiesa?
Dietro al palazzo delle regione, il sole calava. Le loro facce diventarono arancione. Le sedie si spostarono ancora due volte, ad ogni giro d'ombra. Il papa continuava senza avere addetti ma Dio era un altro discorso, disse Mauro, e poi, si era fatto tardi. Salutò gli amici e camminò verso casa. Dalla finestra sua moglie lo guardò rincasare. L'ombra copriva tutta la piazza. C'era notte fonda.